Mimmo Gangemi ci presenta La signora di Ellis Island

Pubblicato il:
11 marzo 2019

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Gli umili provano a scuotere l’immobilità solidificata dai
secoli. Braccianti agricoli si ritrovano l’idea rivoluzionaria di
poter deviare un destino che pareva immutabile, che pareva
dovesse ripetersi uguale a quello delle generazioni
precedenti, padroni delle sole braccia da offrire ai pochi che
possedevano anche la fame e la sopravvivenza.
Giuseppe è tra questi, parte verso la Merica nel 1902
assieme ad altri sventurati, stipati, da poter spremere succo
di carne, nel ventre scuro di un piroscafo che trancia l’acqua
interminabile del mare Oceano. Appena a Ellis Island, gli
soccorre l’ingresso una Signora vestita d’azzurro e con un
bimbo in braccio. È l’incontro che segnerà per sempre la sua
esistenza.
Tutti mirano al riscatto sociale e a un minimo di
benessere, da ottenere con sacrifici lontani che consentano,
al ritorno, di diventare proprietari di un po’ di terra con cui
costruire un futuro meno acciaccato per i figli.
Cinque anni di Merica in miniera prima e in fonderia
dopo, il rimpatrio, l’acquisto di un uliveto, il matrimonio, il
lento e costante tirarsi su, mentre scorre la storia d’Italia, con
la Grande Guerra, la spagnola che non si crea scrupoli e
infierisce, gli anni del fascismo, la seconda guerra mondiale,
la casa affollata di figli, il primogenito che s’avventura in
una nuova emigrazione, nelle colonie dell’impero, il secondo
avviato al sacerdozio. Fino alla svolta del benessere.
È un’epopea contadina. Nelle vicissitudini di una
famiglia aspromontana si specchia un intero popolo che non
ci sta più, si scuote dal torpore e prova a essere parte attiva di
quella storia che finora lo ha solo sfiorato, o lo ha immolato
vittima. È l’orgoglio degli ultimi. È l’emancipazione.
Lastricata di dolore, fatica e sangue, con il razzismo sui
dago, le grinfie di un destino che s’incaponisce a restituirli
indietro, la caparbietà della risalita, i giorni migliori per
quelli da venire.

Mimmo Gangemi

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